Onnisciente

Onniscente

Approfondimenti

Il quesito nasce da un personale ricordo dei tempi liceali. Durante un compito in classe di letteratura italiana, tra i tanti quesiti posti dal professore e scritti sotto sua dettatura da noi allievi, il docente citò ben due volte l'aggettivo onnisciente. Ricordo l'amarezza del nostro professore quando, trovandosi a correggere le nostre verifiche, dovette constatare che più di metà classe aveva scritto onniscente senza i.

Il suo disappunto era accresciuto dal fatto che, a commettere questo grave errore, erano degli alunni di un liceo classico. Attenzione, nessuno dovrebbe sbagliare, ma quando a farlo sono studenti che, proprio per le materie che studiano, sono meno giustificabili di altri, i professori sono ancora più severi (è come se un allievo del liceo linguistico sbagliasse a scrivere in inglese!).

Da studenti del liceo classico quali eravamo, avremmo dovuto ricordare che onnisciente deriva dal latino OMNIS (tutto) + SCIENTEM (il participio presente del verbo scio, che, infatti, va scritto con la I).

Onnisciente vuol dire "che sa tutte le cose". Anche il sostantivo onniscienza vuole la i.


Conciso

Coinciso

Approfondimenti

Se intendiamo usare l'aggettivo nel significato di "breve, sintetico, succinto", la forma corretta è senza dubbio conciso, senza i.

Es.: Sei stato molto conciso nell'esposizione del tuo lavoro.

Coinciso esiste, ma è il participio passato del verbo coincidere.

Es.: Il tuo arrivo è coinciso con la sua partenza.


Incinta

In cinta

Approfondimenti

Non avrei mai pensato di proporre tale quesito, ma, facendo delle rapide ricerche su Google, ho constatato che molte persone, non sapendo che la forma corretta è solo "incinta", scrivono "in cinta"; molte altre, invece, sono assalite dal dubbio "Qual è la forma giusta tra le due?".

Qualche sapientone è convinto che "in cinta" corrisponda a una forma corretta, utilizzata nell'italiano arcaico, con cui si intendeva dire "che avevi qualcosa nella cintura, in vita", successivamente modificatasi in "incinta".

Se vi dovesse capitare di imbattervi in tali "errori/orrori", fatevi una grossa risata (anche se è una risata amara... povero italiano).

Incinta deriva dal latino tardo INCINCTA, che stava per il classico INCIENS, INCIENTIS = pregno. Un'etimologia popolare ha poi collegato il termine al verbo CINGERE, in quanto le donne non portavano la cintura durante la gravidanza. Tale accostamento è motivato da Isidoro di Siviglia (fiorito intorno al 570), nelle Etimologie, attribuendo al prefisso in- un valore negativo (incincta equivarrebbe quindi a non cincta) e alludendo così al fatto che le donne gravide non fossero solite indossare la cintura («incincta, id est sine cinctu; quia praecingi fortiter uterus non permittit»). Ma tutte queste spiegazioni non sono vere e hanno origine popolare!

Il nostro caro INCINTA si collega anche al greco EN-KYOS (= feto). KYOS, a sua volta, deriva dal verbo KYO (=KYEO) = porto nell'utero, sono incinta. In latino, come già detto, è INCIENS. In francese e in spagnolo, lingue romanze che, come l'italiano, derivano dal latino volgare, si dice rispettivamente "enceinte" e "encinta".


Badare a

Badare di

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Il verbo badare può avere più significati; a seconda del significato che assume in un determinato contesto, può reggere la preposizione semplice "di" o "a":

a) attendere a qualcosa, averne cura

Es.: Badare alla casa, badare ai figli, ecc... In questi casi si scrive "bada a" e non "bada di" (del tutto errato).

b) fare attenzione a qualcuno o qualcosa

Es.: Bada a ciò che dirai! (si usa la preposizione semplice "a"); nel caso di presenza di una negazione si preferisce la forma "badare di" (es.: bada di non tornare tardi)

Curiosità: il sostantivo badante è il participio presente proprio del verbo badare. Il/la badante, infatti, è una persona addetta per professione alla cura delle persone anziane.


Interpretare

Interpretrare

Approfondimenti

Interpretrare rientra nella categoria "strafalcioni" che spesso ci capita di ascoltare in tv; tra l'altro, non vi è alcun vantaggio in questa forma che, oltre che errata, è di gran lunga più complicata da pronunciare! Lo stesso ragionamento è valido per interprete (forma corretta) Vs interpretre (forma errata).

Dobbiamo aggiungere che l'enciclopedia Treccani attesta anche le forme interpetrare/interpetre come varianti toscane o letterarie, mentre il Dizionario Etimologico di Pianigiani le giustifica come voci popolari con metatesi (= spostamento) di r per motivi di eufonia, quindi di facilità di pronuncia.

Da dove derivano interpretare/interprete? L'etimologia di questi termini risale al latino interpres, risalente a sua volta a inter praetium, che si riferiva ai mediatori, cioè coloro che nelle transazioni commerciali "facevano il prezzo". Per traslato, ora interprete indica colui che trasmette il significato dei testi, inteso sia come traduttore, sia come lettore critico, capace di svelare i significati letterali e figurati delle parole.

 


Province

Provincie

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Il plurale dei nomi che al singolare terminano in -cia, -gia e -scia (Camicie o camice?Ciliegie o ciliege?, Provincie o province?) è una delle questioni che più genera incertezza tra i parlanti e gli scrittori della lingua italiana.

Il plurale di provincia è province; infatti, secondo la regola della formazione del plurale dei nomi che al singolare terminano con -cia, -gia: 

  • le parole dove le terminazioni -cia e -gia sono precedute da vocale formano il plurale in -cie e -gie: avremo dunque camicie, ciliegie, micie, valigie;     
  • le parole dove -cia e -gia sono precedute da consonante formano il plurale in -ce e -ge: avremo dunque province, pronunce, gocce, bolge, frange, spiagge. 

Rientrano in questo secondo caso anche le parole in -scia, che nel plurale terminano sempre in -sce: avremo quindi fascia-fasce, striscia-strisce.

Tutto questo discorso non è valido per le parole in cui la i di -cia e -gia è tònica, cioè accentata, come farmacía, nostalgía, bugía. In questi casi la i è necessaria e resta anche nel plurale; avremo dunque farmacíe, nostalgíe, bugíe, ecc...

Curiosità: all’interno della prima versione della Costituzione Italiana (1947) è scritto “provincie“. Non molti decenni fa questa forma era ammessa e del tutto corretta!


A posto

Apposto

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Quante volte vi sarà capitato di sentirvi intimare di mettere a posto la camera o di mettere la testa a posto? Se vi siete chiesti almeno una volta "Si scrive apposto o a posto, unito o separato?", risponderemo alla vostra domanda distinguendo i contesti in cui è valida una forma piuttosto che l'altra:

  • se intendiamo dire "tutto in ordine; tutto benescriveremo a posto, staccato e senza raddoppiare la p-; in questo caso la grafia apposto, scritta come un'unica parola, è sbagliata.
  • diversamente, apposto, scritto unito, è corretto solamente quando ci riferiamo al participio passato del verbo apporre (es. "Ho apposto la mia firma), ma ne parleremo più avanti.

Tutto a posto o Tutto apposto?

Sulla base di quanto abbiamo appena scritto, sebbene siano state utilizzate in maniera volutamente errata in alcuni film e canzoni, anche le grafie tutt’apposto, tutto apposto e tuttapposto sono sbagliate. La locuzione corretta è tutto a posto, che si scrive staccata e senza il raddoppiamento della p-.

Apposto è sempre sbagliato?

Non sempre. Come abbiamo scritto qualche paragrafo più su, apposto, scritto unito, è il participio passato del verbo apporre, che nei contesti finora analizzati è del tutto inapproriato. Il suo utilizzo è corretto in casi simili ai seguenti:

  • Ho apposto la mia firma sul documento.
  • Il divieto sarà apposto in Via Roma, nel tratto che interesserà la manifestazione.

Perché molti sbagliano? La lingua parlata e il raddoppiamento fonosintattico

Molte volte, nella lingua parlata, specie nell'italia centro-meridionale, a posto subisce erroneamente il raddoppiamento fonosintattico; la locuzione, però, non ha subito il fenomeno dell'univerbazione che ha caratterizzato, invece, parole come soprattutto, cosiddetto, contraccolpo.

Il raddoppiamento fonosintattico è il raddoppiamento subìto della consonante iniziale di una parola legata alla precedente.

Esistono differenze tra a posto e farlo apposta?

Se siete curiosi e volete approfondire l'argomento, potreste dare un'occhiata al quesito farlo a posta o farlo apposta; sebbene, a prima vista, possa sembrare quasi del tutto identico ad "a posto o apposto", vi sorprenderete nello scoprire che si scrive farlo apposta.

Frasi con a posto

Ecco alcune frasi che vi aiuteranno a utilizzare correttamente la locuzione:

  • Non desideriamo altro. Siamo a posto così, grazie.
  • I conti e lo stato di attuazione del programma sono a posto.
  • Sono stanca del tuo comportamento. Fossi in te cercherei di mettere a posto la situazione immediatamente.
  • Ciao ragazzi come va? Tutto a posto?

"Tutto apposto a ferragosto", la canzone e "Tuttapposto", il film

In molti ricorderanno il brano di Dance Elettronica "Tutto Apposto a Ferragosto", che nel 2010 l'artista Wender inserì nel proprio album Alpaca. Più recente è, invece, il film "Tuttapposto". Il lungometraggio, diretto da Gianni Costantino e interpretato da Roberto Lipari, Luca Zingaretti, Monica Guerritore, Paolo Sassanelli e Sergio Friscia è uscito nelle sale italiane il 3 ottobre 2019.

Non lasciatevi condizionare: in entrambi casi si tratta di storpiature volute.


Sufficiente

Sufficente

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Se scriverete sufficente senza i, sicuramente in italiano non raggiungerete la sufficienza!!!

Sufficiente si scrive con la I; il termine, infatti, deriva dal verbo latino sufficio, composto a sua volta da sub (= sotto) e facere (= fare).


Commovente

Commuovente

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Questo quesito nasce dalla personale lettura di un post scritto da un personaggio famoso che, dovendo esprimere un parere su un libro appena letto, lo definisce commuovente. Siccome nessuno è perfetto e anche noi ogni tanto sbagliamo, abbiamo intrapreso una ricerca su questo termine, per cercare di capire se commuovente fosse davvero una forma corretta. Facendo una rapida ricerca su Google, ci siamo resi conto che molte persone sono preda di questo dubbio. In realtà non è un dilemma così strano, se si considera che commovente è il participio presente del verbo commuovere, che all'infinito presenta una -u. Molte persone, quindi, si domandano il motivo per cui questa u non è presente anche nel participio presente commovente, che diventerebbe quindi *commuovente.

Questo verbo ha subito il cosiddetto dittongo mobile presente anche nella coniugazione del verbo muovere (il participio presente di muovere, infatti, è movente, non *muovente); l'unica forma corretta, pertanto, è commovente, senza la -u, a discapito del big che ha erroneamente scritto commuovente. Se fosse necessario ripeterlo ancora una volta, commuovente, con la -u, è un errore.

Dalla ricerca effettuata ci siamo accorti che questo strafalcione è presente nelle pubblicazioni di numerosi studiosi e, inoltre, in alcuni siti web di grammatica italiana, eppure sia il dizionario Treccani che il Gabrielli sono della stessa opinione: commovente è l'unica forma corretta. Tutto questo ci fa comprendere quanto sia complicata, ma nello stesso tempo affascinante, la nostra cara e amata lingua italiana.

Che vuol dire commovente? Qual è il suo significato? Esiste un sinonimo? Quali sono i suoi contrari?

Commovente significa emozionante, appassionante, toccante; queste parole sono anche sinonimi del vocabolo in questione. Per quanto riguarda la sua etimologia, il verbo commuovere deriva dal latino commovere. Tra i contrari di commovente abbiamo le seguenti parole: esilarante, divertente, comico.

Commoventi o Commuoventi?

Anche per il plurale di commovente vale quanto è stato detto finora, si scrive commoventi, senza la -u.


Un'altra

Un altra

Approfondimenti

La regola da seguire è quella che ci hanno insegnato alle scuole elementari: un va apostrofato quando seguono dei sostantivi di genere femminile.

Es.: un'anatra, un'amica..

Perché? Una è l'unico articolo indeterminativo femminile della lingua italiana e dinanzi a una parola cominciante per vocale va eliso (l'elisione è la caduta di una vocale finale non accentata davanti a una parola che inizia per vocale; il fenomeno è graficamente segnalato per mezzo di un apostrofo).

Es.: Una amica---> una amica---> un'amica

Per il maschile non occorre l'apostrofo perché oltre a uno esiste la forma un, dunque non è necessaria alcuna elisione.

Es.: Un amico, un albero...


Un altro

Un'altro

Approfondimenti

Si scrive UN ALTRO, senza apostrofo. Come già accade per qualcun altro, non siamo infatti in presenza di elisione (= perdita della vocale finale di una parola davanti alla vocale iniziale della parola seguente), normalmente segnalata dall’apostrofo (es.: un'amica), bensì di un TRONCAMENTO (o apocope).


Dopotutto

Dopo tutto

Approfondimenti

Se intendiamo usarlo come avverbio, nel senso di "alla fin fine, tutto sommato, in fin dei conti", si scrive dopotutto.

Es.: Dopotutto è una bella occasione!

Dopo tutto, invece, indica qualcosa che sia avvenuta "dopo tutto".

Es.: È normale che sia stanco dopo tutto quello che ha fatto.


Dopodomani

Dopo domani

Approfondimenti

Nell’italiano contemporaneo la grafia corretta è dopodomani.

Originariamente "dopodomani" si scriveva separato (dopo domani).

«Dopo domani», rispose ancora Geltrude (A. Manzoni, Fermo e Lucia).

Dunque, dopodomani rientra tra quelle parole che, pur essendo originariamente separate, oggi sono scritte unite, come sottosopra (http://comesiscrive.it/dubbi/sottosopra-o-sotto-sopra/), soprattutto (http://comesiscrive.it/dubbi/si-scrive-soprattutto-o-sopratutto/) ecc..

Si mantengono nella forma separata, per esempio, d'accordo (http://comesiscrive.it/dubbi/daccordo-o-daccordo/), a fianco, ecc...

L'univerbazione di dopodomani si è affermata nel corso del Novecento.


Accelerare

Accellerare

Approfondimenti

L'unica forma corretta e ammissibile, senza alcuna eccezione alla regola, è accelerare, con una l sola. Questo vale per tutti i modi, con i relativi tempi, del verbo accelerare: indicativo (accelero, accelererò, acceleravo...), congiuntivo (che io acceleri, che io accelerassi...), condizionale (io accelererei...) e così via. Lo stesso vale per il sostantivo accelerazione e l'aggettivo celere, da cui il verbo accelerare deriva; si scrivono tutti con una sola l.

Il linguista Aldo Gabrielli, in Si dice o non si dice? (la versione fornita su Corriere.it è stata rivista da Paolo Pivetti) raccomanda :  "Acceleriamo pure, ma con una l sola perché il verbo deriva dall’aggettivo celere, che, proprio non ci son dubbi, di l ne ha una".


Dopodiché

Dopo di ché

Dopo di che

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Vi siete mai chiesti come si scrive dopodiché? Se si scrive unito o staccato? La forma corretta è dopodiché, scritta unita. L'avverbio è l'univerbazione dei vocaboli dopo, di e che.

Si scrive con l'accento grave o con l'accento acuto? Perché?

Dopodiché si scrive con l'accento acuto perché la e- finale è chiusa, non aperta (quindi, se non volete commettere un errore, non scrivete dopodichè).

La forma staccata dopo di che è corretta?

È possibile scrivere anche la forma staccata, dopo di che, sebbene sia più rara. Fate attenzione a non scrivere dopo di ché, con l'accento, anche in questo caso commettereste un errore. Tra le due forme ammesse dalla lingua italiana preferiamo e consigliamo la forma attaccata, che è senza dubbio la più comune.

Significato e sinonimi di dopodiché?

L'avverbio significa: poi, in seguito, infine.

Frasi con dopodiché

A scopo puramente esemplificativo vi mostriamo alcune frasi con dopodiché:

  • Ci siamo visti una volta al bar, dopodiché non ho avuto più sue notizie.
  • Ho intenzione di buttarmi questa brutta storia alle spalle, dopodiché prenderò il primo treno per allontanarmi via da qui.

E finale con accento acuto o grave? Ecco alcuni quesiti simili a quello appena descritto:

​Unito o staccato? Ecco alcuni quesiti simili a quello appena descritto:


A meno che

Amenoche/amenoché

Approfondimenti

Si scrive a meno che, non amenoche, amenoché e neppure ammenoche/ammenoché.

A meno che è una congiunzione restrittiva che serve a presentare un'eccezione.

 


Soprattutto

Sopratutto

Approfondimenti

Vi è mai capitato di chiedervi "si scrive sopratutto o soprattutto? Con 4 t- o con 3 t-?"? Ebbene, la grafia corretta è soprattutto, con 4 t-, e non con 3 t-. Anche se le forme sopratutto e sopra tutto vengono indicate da molti vocabolari come forme meno comuni, ve ne sconsigliamo l'utilizzo.

Perché si scrive soprattutto e non sopratutto? Si può scrivere sopra tutto?

Diversamente da quanto avviene per casi simili come oltretutto e dopotutto, per la parola soprattutto si verifica un raddoppiamento sintattico, ovvero le due parole vicine, sopra e tutto, dopo aver subito il fenomeno dell'univerbazione (diventano un'unica parola), raddoppiano la consonante t-. Ne deriva che la grafia sopra tutto è sbagliata.

Cosa vuol dire soprattutto? Qual è il suo significato? Quali sono i suoi sinonimi?

L'avverbio soprattutto significa ed è sinonino di: prima di tutto, sopra ogni altra cosa, anzituttoinnanzitutto.

Curiosità: "Sopra tutto" Fernet-Branca

Sin dagli anni '80 il famosissimo amaro italiano Fernet-Branca ha pubblicizzato il proprio prodotto attraverso il claim "Sopra tutto Fernet-Branca". In realtà, sin dalle prime versioni dello spot, è evidente che gli autori della pubblicità abbiano voluto giocare con la somiglianza del suono di sopra tutto e soprattutto, al punto tale da far sembrare, specie nelle prime versioni della pubblicità, che la voce fuori campo dicesse "Soprattutto Fernet-Branca".


Eccezionale

Eccezzionale

Approfondimenti

Davanti a -ion le consonanti g e z non vanno mai raddoppiate; dunque, dovete scrivere addizione, sottrazione e colazione, non addizzione, sottrazzione e colazzione; lo stesso vale per eccezionale/ eccezione.

Consultando qualunque dizionario, potrete constatare che l'unica forma corretta è quella con una sola z.


Altro che

Altroché

Approfondimenti

Le forme sono entrambe corrette, ma rivestono funzioni differenti; bisogna capire la forma esatta da utilizzare a seconda della frase che abbiamo dinanzi. 

Nell'enunciato "Altroché se ci conosciamo!" altroché ha il significato di "certamente, certo che, come no"; in questi casi va scritto tutto unito e con l'accento finale acuto (é, non è).

In frasi del tipo "In frigo non c'è altro che un litro di latte" oppure "Sei felice? Altro che felice, sono tristissimo" va scritto staccato (un altro esempio di questa seconda funzione è presente nel titolo della canzone degli 883 Nient'altro che noi, pubblicata nell'album Grazie mille del 1999).